Sta diventando sempre più comune nei bandi per la realizzazione di importanti opere, richiedere la misurazione dell’impronta di carbonio (Carbon Footprint) legata al prodotto/servizio oggetto della richiesta del bando.
Spesso viene anche richiesto di allegare il modello matematico di calcolo – giusto per non rendere troppo semplice la partecipazione. – Dalle continue richieste che riceviamo, possiamo dire che la maggioranza delle aziende si vede costrette a rinunciare, non avendo idea di come procedere e dei tempi necessari a inserire questi elementi di calcolo nell’offerta.
E’ comprensibile, visto che la normativa di riferimento è alquanto criptica per i non addetti ai lavori e suscettibile di molte interpretazioni.
Tra l’altro non esiste un solo metodo di calcolo. Gli standard attualmente usati per il calcolo della Carbon Footprint di prodotto sono:
- ISO/TS 14067 – Carbon Footprint of products – Requirements and guidelines for quantification and communication.
- PAS 2050:2011 – Specification for the assessment of the life cycle greenhouse gas emissions of goods and services.
- WBCSD/WRI GHG Protocol Initiative Product Life Cycle Accounting and Reporting Standard – November 2011.
La prima domanda quindi da farsi è quale standard usare. In molti casi la scelta dipenda da chi chiede il calcolo, ma si potrebbe comunque agire in autonomia visto che tutti gli standard rispondono alla stessa domanda.
In Italia, il punto di riferimento per il calcolo dell’impronta di carbonio su un prodotto è la norma ISO 14067 che insieme alle norme ISO 14067-1 , 2 , 3 definisce il contesto di come un’azienda deve approcciarsi al mondo dell’impatto ambientale dei propri prodotti/ servizi e della stessa organizzazione.
Anche uno studio LCA sul prodotto può andare bene, perchè già prende in esame la “componente aria”.
In generale, un servizio base di calcolo carbon footprint di prodotto richiede l’intervento di un tecnico specializzato, possibilimente Lead Auditor ISO 14067 e richiede molti giorni di lavoro.
Il nostro consiglio è quello di anticipare il mercato e prendere atto che il cambiamento climatico impatterà al 100% sugli attuali modi di produrre delle aziende quindi non ha più senso aspettare.
Basti pensare che Larry Fink il gestore dei fondi Black Roch (9000 miliardi in gestione) ha lanciato un appello alle grandi aziende globali. Finora, ha spiegato, il cambiamento ha riguardato soprattutto i mercati finanziari e le società quotate, ma ciò non è ancora sufficiente.
Bisogna coinvolgere nel cambiamento anche le società non quotate e soprattutto quelle che fanno parte della catena di fornitura e lavorano per le grandi aziende globali. In sostanza, Fink chiede di controllare in modo severo anche le emissioni “indirette”, cioè l’inquinamento che non è direttamente controllato dall’azienda.
“Le grandi aziende quotate – dice Fink – sono chiamate ad essere una sorta di polizia delle emissioni, pronte anche a tagliare finanziamenti e commesse alle piccole aziende che non si sono impegnate abbastanza per ridurre le proprie emissioni”.
Tutto questo, conclude Fink, tenendo bene a mente che un atteggiamento del genere potrebbe avere ripercussioni per le grandi aziende, che rischierebbero di essere accusate di penalizzare le società più piccole.
È altresì indubbio che, a prescindere dai destinatari dello studio, la certificazione della footprint di prodotto operata da una terza parte indipendente offre le migliori garanzie di oggettività e credibilità dei risultati.